La chiusura delle scuole e delle università, a seguito dell’epidemia in atto, con la conseguente sostituzione dell’insegnamento tradizionale con quello a distanza o telematico, rappresenta un’alternativa giustamente considerata l’unica possibile, per non giungere al blocco totale dell’istruzione dei giovani. Molti osservatori e studiosi la considerano addirittura un’opportunità che occorre incrementare in quanto rappresenta la formazione del futuro.
Per contribuire a chiarire il dibattito in corso che coinvolge non solo gli studenti e i docenti, ma anche, in modo comprensibilmente coinvolgente, i genitori, proponiamo alcune considerazioni sull’insegnamento telematico alla luce dei più recenti contributi delle neuroscienze nel campo dell’apprendimento.
Prima di tutto occorre accennare al vasto impiego della tecnologia telematica e informatica a supporto dei processi di insegnamento. L’erogazione può avvenire tramite interventi interattivi tra docente e discente, oppure tramite interventi predisposti che possono essere usufruiti autonomamente dai discenti.
Come influisce la formazione a distanza nei processi di apprendimento degli studenti? È ipotizzabile che l’insegnamento a distanza possa progressivamente sostituire l’insegnamento tradizionale? Dal punto di vista dei genitori e dal punto di vista civile e sociale la risposta a questi quesiti è essenziale per non cadere preda di mode che possono originare inconvenienti per il futuro dei giovani, al di là dello stato di necessità attuale e delle opportunità indubbiamente offerte dalla telematica.
Gli ultimi sviluppi delle neuroscienze forniscono interessanti e innovative indicazioni su come funziona l’apprendimento e su come imparare più velocemente attraverso tecniche, supporti, procedimenti e accorgimenti basati sui meccanismi neuronali e sul funzionamento delle reti cerebrali che presidiano i processi di memorizzazione.
Una prima fondamentale considerazione è la dimostrazione scientifica che il cervello umano, a partire dalla nascita, non è una tavola vergine di cera sulla quale gli input sensoriali e cognitivi imprimono il sapere, ma racchiude in sé, fin dalla gestazione, un insieme di strutture cerebrali precostituite, ereditate nel corso dell’evoluzione, in grado di attivarsi con modalità interattive a contatto con gli adulti. Imparare significa focalizzare e sfoltire: durante l’infanzia i circuiti cerebrali che non vengono utilizzati sono progressivamente eliminati.
Nel suo libro, Imparare. Il talento del cervello, la sfida delle macchine, Stanislas Daheane dimostra che il cervello umano è ancora superiore all’intelligenza artificiale perché impara meglio di qualsiasi macchina. Questa superiorità deriva dal fatto che il cervello infantile è dotato di una serie molto ampia di facoltà, come ha dimostrato il neuroscienziato Howard Gardner con il suo paradigma sulle intelligenze multiple. Osservando il cervello di un neonato è possibile rilevare strutture cerebrali ben organizzate predisposte ad acquisire i contenuti dei principali campi del sapere: tutti i circuiti cerebrali di un adulto risultano già presenti. Sarebbe fondamentale che i sistemi di insegnamento facessero tesoro di queste scoperte e si riuscisse ad anticipare notevolmente l’insegnamento fin dalla prima infanzia (ovviamente con metodologie appropriate).
Per comprendere come agisce l’apprendimento anche dopo l’infanzia e fino all’età adulta. è indispensabile analizzare come agisce la memoria, o meglio come agiscono le memorie di lavoro, autobiografica, semantica, procedurale ed emotiva.
Le diverse memorie riescono ad agire in forma integrata soprattutto quanto si apprende. La memoria di lavoro registra un’informazione, questa informazione, se opportunamente rinforzata, viene trasferita alla memoria episodica, da qui avviene il passaggio alla memoria semantica. La memoria semantica può trasferire alla memoria procedurale certe operazioni in modo da renderle automatiche. In sostanza, senza memoria non può esserci apprendimento.
Occorre rivalutare il ruolo della memoria per rendere i processi di apprendimento efficaci e stabili. Imparare a memoria è caduto in disuso, ma per secoli è stato un esercizio mentale fondamentale. Quando una mente riesce a rievocare con precisione sequenze di informazioni, fornisce una base di manovra a tutti i temi connessi e rende gli schemi mentali più facilmente utilizzabili (chi riuscirebbe ad elencare la progressione delle Alpi italiane senza fare ricorso alla filastrocca: “MA COn GRAan PEna LE RECA GIU’ ”?).
Molti neuroscienziati sostengono che la memoria è un sistema rivolto al futuro e non al passato. Il suo contributo non è di “guardare indietro”, ma di elaborare ipotesi su quello che potrebbe accadere per non essere colti di sorpresa. Si tratta della strategia mentale che suggeriscono gli insegnanti efficaci. Reiterando le informazioni, i sistemi mnemonici aiutano il cervello a tenerle a mente e a utilizzarle nel momento opportuno.
Le neuroscienze hanno ampiamente confermato le intuizioni di molti filosofi, l’essere umano è progettato per connettersi con gli altri. Le strutture sociali del cervello sono di gran lunga prevalenti: si pensi alle formidabili capacità di lettura dello sguardo, delle espressioni del viso e della postura che possiedono tutti gli esseri umani fin dall’infanzia. Nel cervello umano si sono sviluppati meccanismi per rilevare le intenzioni altrui insieme a meccanismi per celare le stesse intenzioni. Tutti i processi comunicativi sono realizzabili tramite il supporto dei processi emozionali che pervadono ogni forma di socialità. Nel rapporto interpersonale diretto le emozioni indirizzano la socialità e la socialità influenza le emozioni. In un rapporto a distanza, anche con i più efficaci mezzi visivi e auditivi, questo fenomeno si affievolisce in modo essenziale.
I comportamenti imitativi, indotti dai neuroni specchio, diffusi in molte aree della corteccia cerebrale e del sistema limbico del cervello, consentono la realizzazioni di diverse manifestazioni umane tra le quali, fondamentali fin dalle prime fasi dell’esistenza, vi è l’apprendimento. L’imitazione è un mezzo molto potente per imparare e necessita di vicinanza fisica che non può essere sostituita dal contatto virtuale. I neuroni specchio consentono di entrare nei panni degli altri solo se siamo in contatto diretto.
L’insegnamento svolto a diretto contatto attiva schemi ripetitivi di elaborazione mentale basati su un processo empatico, difficilmente riproducibile tramite comunicazioni a distanza. Questi schemi possono essere rinforzati anche da un impegno autonomo, il quale però ha necessità di un riscontro successivo che scaturisce sempre dalla vicinanza tra docente e discente. Questa vicinanza consente di realizzare il “condizionamento vicario”, un processo di influenzamento basato su stimoli positivi che si riverberano su due aspetti fondamentali:
- la curiosità, che apre il fronte all’esplorazione mentale tramite un coinvolgimento attivo e continuativo (Jaak Panksepp definito la curiosità l’emozione primaria dei mammiferi e degli esseri umani);
- l’accettazione dell’errore, la disponibilità a sbagliare che origina il più efficace e il più rapido dei processi di trasferimento e apprendimento, il quale scaturisce solo a seguito del rassicurante contatto umano con il docente. Questo contatto è in grado di risvegliare e tenere desta l’attenzione focalizzata, insostituibile per imparare.
Emerge che l’insegnamento a distanza è un potente supporto all’apprendimento basato sul contatto umano, ma non può sostituirlo. Nei casi di assoluta necessità come quello attuale si rivela un’accettabile alternativa, ma occorre prestare la massima attenzione per non scivolare nell’illusione avveniristica che i mezzi informatici e telematici possano diventare una panacea.
Se l’educatore è una specie di vice genitore, proviamo a immaginare un genitore che alleva i propri figli telematicamente…