CONTROVIRUS | Coronavirus e neuroscienze

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di Alberto Carrara, Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, Università Europea di Roma, Cattedra UNESCO in Bioetica e Diritti Umani

Si è sentito parlare spesso in queste ultime settimana di Coronavirus e degli effetti sul cervello. In effetti, il tropismo neurale di questo virus (il SARS-Cov-2) è un tema emergente ed estremamente importante da tenere in considerazione in questi mesi di lockdown globale.

Da mesi il silenzio, l’isolamento, il deserto delle nostre città, la solitudine dei nostri monumenti sono divenuti la nostra “tempesta” esistenziale. Il silenzio assordante, il senso di vuoto desolante, la paralisi fisica ed emotiva, la paura e lo smarrimento sono alcune tra le percezioni e i sentimenti che non lasciano indifferenti il nostro sistema nervoso. E come non potrebbero? Come tutti questi fattori stressogeni non hanno già effetti sul nostro cervello?

Che il SARS-Cov-2 di per sé abbia effetti neurologici è una evidenza che sta emergendo con sempre più forza e che viene indagata dagli specialisti in tutto il mondo: la rivista Neurology ha indetto una Call specifica sull’argomento e su PubMed alla voce “COVID-19 nervous system” compaiono numerosi studi. A questo proposito mi preme citare la task force Neuro-Covid condotta da Matilde Leonardi, neurologa, pediatra e direttrice del Centro Coma della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano. Già oggi sappiamo che questo virus attacca sin dalle prime fasi di malattia i recettori per l’olfatto, cioè quelle terminazioni nervose deputate a trasmettere l’impulso e il messaggio odorifico dalla periferia dei nostri organi di senso, in particolare del naso e della bocca, sino al cervello.

Ora, se da una parte il coronavirus stesso attacca il sistema nervoso e perciò stesso il cervello, dall’altro lato, numerosi fattori epigenetici stressogeni da isolamento, reclusione, paura, eccetera hanno la capacità di riplasmare in negativo la nostra funzionalità cerebrale.

Nel 1998 il premio Nobel per la Medicina Eric Richard Kandel (1929-) nel suo articolo A New Intellectual Framework for Psychiatry – pietra miliare per una visione unitiva della persona umana – forniva 5 grandi principi per una psichiatria biologica. Kandel metteva in relazione la stretta interrelazione dinamica tra fattori genetici ed epigenetici nella genesi della malattia mentale.

Con questi presupposti e con le evidenze neuroscientifiche odierne, possiamo affermare che la complessità della situazione di pandemia in cui ci troviamo stia già riplasmando i nostri cervelli.

I numerosi elementi esistenziali negativi: l’isolamento, la paura, la perdita del lavoro, i timori del rischio del contagio, per non parlare del distanziamento forzato da parenti e amici ricoverati e persino moribondi, i lutti vissuti a distanza, eccetera, tutto questo sta concorrendo a produrre alterazioni, in primo luogo, a livello di espressione genica cerebrale, che si riverberano nella modulazione negativa di diversi neurotrasmettitori (tra cui i sistemi dopaminergici, serotoninergici, e altri), sino a vere e proprie modificazioni della connettività neuronale. Se protratte nel tempo, tali alterazioni indotte da fattori stressogeni possono persino essere riconosciute a livello di indagine attraverso EEG (elettroencefalografia) e altre neuro-tecnologie, attraverso variazioni della connettività corticale. Queste evidenze costituiscono le basi per l’insorgenza di sindromi psichiatriche complesse come ad esempio il PTSD, il disturbo post-traumatico da stress.

Come invertire la rotta di queste fratture al nostro cervello? Gli stessi meccanismi che strutturano negativamente il nostro cervello possono essere sfruttati sia per prevenire l’insorgenza di danni funzionali che poi possono tradursi in veri e propri scompensi, sia possono servire per ri-configurare in senso positivo il nostro sistema nervoso debilitato o già squilibrato.

Oggigiorno siamo chiamati a reinventare le nostre relazioni e a scoprire le nostre deep skills, quelle relative alla nostra capacità empatica, al saper stare con gli altri, all’ascolto, alla solidarietà, ma pure alla moralità e alla responsabilità. Queste strategie positive avranno effetti positivi sulla nostra percezione della malattia e sul suo decorso e, di conseguenza, avranno effetti benefici sulla ristrutturazione delle nostre connessioni sinaptiche. Come una buona psicoterapia.

Attraverso una pletora di atteggiamenti e stili di vita che possiamo mettere in atto durante la quarantena possiamo essere gli attori e i protagonisti del nostro destino in un senso positivo: l’evitare di “abbuffarsi” di notizie negative, sostituendole con la lettura o l’ascolto tramite audio-libri di opere di letteratura, di poesia, l’utilizzo di sistemi interattivi via web per prendere visione di siti archeologici, gallerie d’arte, ma anche l’ascolto di musica classica, le buone conversazioni via Zoom, WhatsApp, Teams e altri mezzi, la possibilità di uscire all’aria aperta per camminare, l’abituarsi a un silenzio ricco di esperienze positive, lo sbizzarrirsi in cucina o nel giardinaggio, o in un qualsiasi hobby capace di distogliere la nostra attenzione sulla pandemia, tutto questo e molto di più, può contribuire in senso positivo a prevenire e ristabilire quegli equilibri neurochimici ed elettrici del nostro cervello.