Intervista di Viviana Kasam ad Armando Massarenti, filosofo e giornalista, caporedattore al Sole 24 Ore e firma storica del supplemento culturale Domenica.
Ispirato dalla pandemia delle cattive informazioni, stai scrivendo una summa sulle fake news. Con che ottica?
Si tratta di un libro incentrato sulla scienza dei dati, di cui sono coautore con Antonietta Mira, grande esperta di big data, già autrice di modelli matematici efficaci per prevedere l’andamento della diffusione di altri virus, come il “banana bunchy top virus”. Ci siamo sentiti a febbraio, mentre lei stava costituendo un gruppo internazionale di ricerca per mettere a punto, sulla base di quelle esperienze precedenti, un modello previsionale che permettesse di monitorare giorno per giorno i dati del Covid-19 per pubblicare previsioni e analisi attendibili sul giornale in cui lavoro. Sono molto ammirato per l’atteggiamento da lei tenuto. Mantenendo ogni giorno l’attenzione critica su ciò che accadeva, ha toccato con mano la difficoltà di mettere a punto compiutamente il modello desiderato. Nelle sue prese di posizione pubbliche, intervistata per esempio dalla televisione svizzera, Antonietta ha saputo fornire e commentare dati molto interessanti, sottolineando però che la pandemia da coronavirus è accompagnata da una pandemia da coronadati da cui pure è necessario vaccinarci al più presto. Dalle nostre conversazioni su questo suo modo, così corretto da parte di una scienziata, di fornire problematicamente le informazioni, attento come è anche a ciò su cui è meglio tacere perché sbagliato e fuorviante, è nata l’idea di fare un libro insieme. Perché, abbiamo pensato, è proprio attraverso l’analisi degli errori, delle fallacie e delle confusioni più comuni che forse è possibile scrivere un vero manuale, efficace e magari anche piuttosto divertente: una sorta di manuale al contrario, su come ragionare bene e evitare di prendere abbagli. Abbiamo deciso di intitolarlo La pandemia da coronadati. Ecco il vaccino perché l’intento è quello di aiutare i lettori a non infettarsi di bugie.
Fake news e bugie: per te sono la stessa cosa?
Certo, le fake news, che altro non sono che le vecchie “bugie” presentate con nuove e svariate tecniche. Un classico best seller, vero capolavoro della divulgazione scientifica, non a caso si intitolava How to lie with statistics. Uscì nel 1954 e riportava la battuta, attribuita a Disraeli, secondo cui «Ci sono tre tipi di bugie: le bugie, le bugie spudorate e le statistiche».
Davvero le bugie possono essere divise in tre categorie ma diverse da quelle di Disreaeli. Distinguerle è un facile esercizio che può essere utile per capire bene, in ogni momento, a che cosa siamo davvero sottoposti.
Le bugie bianche sono quelle dette a fin di bene a una persona che ci ascolta e alla quale la verità potrebbe procurare un danno. Sono dunque altruistiche, al contrario delle bugie nere che sono pronunciate per fini esclusivamente egoistici. Le bugie blu sono invece quelle falsità dette a nome di una categoria di persone allo scopo di rafforzare i legami del gruppo. Non sono egoistiche perché dette a vantaggio del gruppo, che si rafforza al cospetto del nemico. Vengono pronunciate per smania di esibizione e per provocare irritazione nel proprio avversario. Sono segnali inequivocabili ed efficacissimi per consolidare la propria leadership e la solidarietà con i propri simili, o meglio con la propria tribù di riferimento. E quanto più sono assurde, tanto più raggiungono lo scopo.
Dunque Trump sarebbe un bugiardo blu?
Nel 2016, durante la sua campagna presidenziale, l’esplosione delle fake news ebbe un picco senza precedenti. Editorialisti e osservatori politici di tutto il mondo, di destra, di sinistra o di centro, non si capacitavano come potessero davvero attecchire sull’opinione pubblica notizie strampalate e incoerenti. Come quella secondo cui l’11 settembre 2001 Barak Obama doveva avere avuto un ruolo nell’attentato alle Torri gemelle “perché in quel periodo non era mai alla Casa Bianca!”, ma è ovvio, allora non era ancora presidente. O quella secondo cui la candidata rivale Hillary Clinton fosse affetta da sclerosi multipla e facesse apparire in pubblico una sua controfigura. E invece dovettero prendere atto della loro efficacia nel determinare la inaspettata vittoria di Trump. Che cos’era successo? Il mondo era diventato improvvisamente del tutto irrazionale? Che cosa spingeva molti elettori a credere – o a credere di credere – a quelle assurdità complottiste? Perché sono risultati inefficaci tutti i media, che pure si impegnarono a smentire quelle notizie? La spiegazione deve tener conto degli istinti tribali presenti in ognuno di noi. Come ci spiegano da decenni antropologi, biologi e scienziati cognitivi i nostri cervelli conservano la memoria di quando eravamo cacciatori-raccoglitori. Ai valori astratti, civili, che informano le civiltà moderne, basate sul rispetto universale delle legge, sull’eguaglianza formale di tutti i cittadini, lo stato di diritto, la divisione dei poteri, il libero mercato, il metodo scientifico ecc. preferiamo istintivamente gli affetti privati e, per dirla in breve, il familismo amorale di cui peraltro noi italiani siamo considerati campioni. Per dire come Aristotele, “sono amico di Platone ma sono più amico della verità” bisogna fare molta più strada, in senso culturale, di quanto si pensi. Le sirene del tribalismo sono oggi più che mai accese, e la nostra civiltà, conquistata a fatica e da cui deriviamo un benessere mai provato prima dall’umanità, è più fragile che mai.
È solo il tribalismo a determinare la propensione a credere alle fake news?
I meccanismi sono molteplici. Come ci insegnano gli scienziati cognitivi ormai da diversi decenni, e prima di loro non pochi filosofi, i nostri cervelli sono portati a cadere in trappole cognitive, fallacie e pseudoargomenti di ogni genere. Alcune sono incorreggibili: per esempio il nostro sistema visivo di fronte al famoso coniglio-papero ci farà sempre vedere o il coniglio o il papero, mai entrambi contemporaneamente. Oppure, due stanghette lunghe uguali ma incorniciate in modo da sembrare una più lunga e una più corta, continueremo a vederle così anche una volta svelato che si tratta di una illusione ottica. Sappiamo che le cose sono diverse da come le vediamo, ma continuiamo comunque a vederle così.
Alcune di queste dipendono dalla nostra credulità e dalla nostra irrefrenabile tendenza – per dirla con la poetica sgrammaticatura di Vasco Rossi – a “dare un senso a tante cose anche se ‘tante cose’ un senso non ce l’ha”, e a vedere correlazioni anche laddove è assai dubbio che ve ne siano. Ciò avviene anche con le correlazioni statistiche. In questi nostri tempi difficili, dominati da una delle più gravi pandemie mai affrontate dall’uomo, forse siamo ancora più vulnerabili
Esiste la possibilità di contrastare questa epidemia di false informazioni? Qual è il vaccino che proponi?
In un mondo dominato dalle fake news alla Trump, dove gli stessi autori e propagatori di bugie spesso pericolose accusano i loro oppositori di fare informazione scorretta, è quantomai necessario formare nelle nostre menti quegli anticorpi che ci permettono di difenderci dall’assalto continuo di notizie false o tendenziose. E la filosofia, da cui nasce la mia formazione, è l’antidoto nel quale credo di più. Per questo cerco di divulgarla attraverso i miei articoli e miei libri, parecchi dei quali rivolti ai bambini, perché è nei primissimi anni di vita che si impara a ragionare criticamente. Il famoso motto cartesiano, penso dunque sono, va reinterpretato nel senso che oggi “siamo” solo se siamo in grado di pensare autonomamente e criticamente. E un ingrediente fondamentale del pensiero critico è proprio la consapevolezza socratica, il “sapere di non sapere”. Potrà sembrare un paradosso, ma oggi il detto socratico rafforza la necessità di una riconquistata fiducia nei confronti degli esperti e dei competenti, dopo anni in cui ha imperversato l’acritico slogan “uno vale uno”. Per spiegarlo vorrei ricordare un famoso esperimento in psicologia che descrive il cosiddetto effetto Dunning-Kruger, dal nome dei due ricercatori che lo condussero nel 1999. In breve essi scoprirono che, se mettiamo a confronto un vero esperto con un principiante, in qualunque ambito – per esempio un vero giocatore di scacchi a livello agonistico con un bravo scacchista dilettante che vince sempre con i suoi amici di quartiere – vi è una radicale differenza tra i due nella capacità di autovalutare sé stessi e le proprie competenze.
Le persone più intelligenti e preparate tendono a sottovalutare le proprie reali capacità e conoscenze. Le persone meno preparate invece sopravvalutano se stessi e le loro spesso parziali e mal digerite conoscenze. Dunque il dilettante si valuterà migliore del professionista. Questa spavalda sicurezza di sé può rendere l’ignorante più assertivo, e quindi credibile, dell’esperto. E magari, almeno all’inizio, aiutarlo a vincere.
Quindi gli esperti dovrebbe apparire più sicuri di sé pe convincere la gente?
In alcuni casi l’assertività è indispensabile. Per esempio, per dichiarare con convinzione che le misure suggerite da Trump non vanno assolutamente seguite, come si sono precipitati a raccomandare gli esperti nominati dalla stessa Casa Bianca! Ma lo scienziato non può abdicare al suo ruolo, che è quello di ragionare, non di pronunciare slogan per poi subito contraddirli. Credo che, prendendo esempio da Bill Gates, che non è uno scienziato, ma un uomo geniale e intellettualmente onesto, gli scienziati dovrebbero essere in grado di smarcarsi e mostrare come funziona il meccanismo, come stiamo cercando di fare anche noi con queste riflessioni. Per esempio, spiegare che prendersela con la Cina prima ancora di avere le evidenze necessarie, ha lo scopo di focalizzare l’attenzione su un capro espiatorio per distogliere l’attenzione dai problemi reali e dagli errori commessi in prima persona. È necessario, quando si presenta sulla scena un nuovo impostore smascherarlo subito per quello che è: un ciarlatano. Senza paura di non essere politically correct. Ed evitare, in omaggio a un malinteso valore come il pluralismo delle opinioni, di organizzare confronti mediatici tra il ciarlatano di turno e un vero scienziato. Così non si fa altro che accreditare il ciarlatano mettendolo nelle condizioni di fare tutto il male possibile.
Se, come per un farmaco, tu dovessi darci la formula per evitare di infettarci di fake news, quale sarebbe?
Il fact checking sui siti di debunking è importante, fondamentale. Ma attenti a non perdere tempo a controllare miriadi di fatti irrilevanti. Questo è molto spesso lo scopo dei grandi mentitori, che in questo somigliano agli illusionisti: sviare l’attenzione da ciò che è vero e importante, e che magari sta proprio lì, semplice e visibile a tutti, sotto il nostro naso.
Armando Masarenti è membro della Commissione per l’Etica della Ricerca e la Bioetica del Cnr (ente presso il quale è ricercatore associato), e dei comitati scientifici del Cepell (Centro per il Libro e la Lettura) e del costituendo Museo educativo sulla moneta e l’economia di Banca d’Italia. Dirige per Mondadori Università la collana Scienza e filosofia. Tra i suoi numerosi libri ricordiamo Metti l’amore sopra ogni cosa (Mondadori 2017), Istruzioni per rendersi felici (Guanda 2014), la serie di libri di filosofia per bambini Gli inventori del pensiero (La Spiga, 2019) e, con Paolo Legrenzi, La buona logica. Imparare a pensare e L’economia nella mente (Cortina, 2015 e 2016). Con il Lancio del nano (Guanda, 2006) ha vinto il prestigioso Premio filosofico Castiglioncello 2007.